OSPEDALE O AGENZIA DELLE ENTRATE?

OSPEDALE O AGENZIA DELLE ENTRATE?

“Ci sarà da costruire un mondo migliore e gli architetti hanno ruolo importante”.

Renzo Piano affronta così il tema della pandemia da coronavirus e si rivolge prima di tutto ai giovani con un videomessaggio affidato al Maxxi il 31 marzo 2020.

L’illustre Senatore a vita nonché premio Pritzer 1998 pone la più consolidata delle basi da cui ripartire: la progettazione.

La pandemia in corso sarà oggetto di innumerevoli studi, analisi, report e, sperando di saperne trarre le dovute considerazioni finali, oggetto di un futuro prossimo miglioramento dello standard progettuale da attuare per evitare di trovarci nuovamente impreparati.

Qualcosa era già ben progettato in un recente passato e non capendone la reale portata è stato nel corso del tempo smantellato in funzione della cosiddetta “razionalizzazione economica”?. Quando sono stati “esautorati” gli architetti dalla progettazione della sanità? Non è sempre stato così…

La dovuta premessa è che quanto in essere – ovvero #iorestoacasa – è la sola e unica soluzione e cura.

Come è “progettato” oggi un ospedale? In linea di massima ogni struttura sanitaria è pensata per ottimizzare anzitutto costi e spazi creando più aree comuni e predisponendo gran parte degli operatori e pazienti che transitano in una sorta di gigante open space. Mediamente l’accesso è composto da due grandi postazioni dove tutti si accodano, facendo file per essere ricevuti da grandi segreterie ( una di pronto soccorso e una ambulatoriale) attraverso le quali le persone vengono smistate in altrettante stanze dove condividono spazi e percorsi. Gli stessi percorsi attraversati da lettighe, portantini, infermieri provenienti da un reparto all’altro. Un sistema economicamente perfetto che rende gli ospedali in gran parte un luogo pari a quello di un ente di riscossione cartelle esattoriali, con i labirinti che determinano una impresa solo per poter entrare o uscire. Nel sistema contemporaneo del costi/benefici quella di oggi è pura ingegneria compressa. In base alla domanda, l’offerta è congrua.

Poi, un giorno, arriva il virus “improbabile”, quello che chiede tutt’altro. E la soluzione ( corretta) è quella di “chiudere” gli ospedali e farli divenire specializzati per una sola sintomatologia onde evitare il contagio plurimo indiretto. L’ospedale, nato come monoblocco pluriperformante poliambulatoriale diventa improvvisamente specializzato come nel vecchio sistema a padiglione. Di cosa stiamo parlando?

A ben guardare basta fare un giro per le maggiori città italiane (Roma e Torino su tutte) per scoprire che in un periodo moderno il sistema perfetto esisteva già. Non economicamente performante ma forse clinicamente si. Il sistema a padiglioni, realizzato solitamente su due piani, con tutta la bellezza intrinseca della sua architettura e pensiero, portava certamente ad una serie di pluriblocchi all’interno di un’area circoscritta con una serie di percorsi progettati secondo criterio architettonico/sanitario ( separazione ingressi ed uscita per pazienti/dottori e materiali, tunnel sotterranei solo per addetti ai lavori ecc.ecc.) proprio per indirizzare facilmente il paziente al luogo di cura giusto, semplicemente per tipologia di organo o di apparato, limitando fortemente il cosiddetto contagio indiretto a seconda della malattia che questo poteva aver contratto. Così come i suoi lavoratori che erano tutti circoscritti all’interno di una sola area. L’ospedale risultava, de facto, una sommatoria di strutture chiuse ed isolate all’interno di un ampio recinto chiuso ad enclave all’interno delle città. Gran parte dei padiglioni, per essere facilmente identificati, venivano connotati di una particolare architettura, fregi, modanature e colori propriamente pensati per chi ( si immagini un paziente all’inizio del secolo scorso) non aveva una scolarizzazione adeguata per poter seguire le indicazioni scritte.

Il migliore esempio che merita un piccolo approfondimento, anche solo virtuale, è l’Ospedale de la Santa Creu i Sant Pau a Barcellona, riconosciuto sito Unesco, opera di indubbio valore che mostra le meraviglie di progettazione, pensiero e funzionalità di un ospedale di appena cento anni fa ma con una lungimiranza non da poco. Un luogo ben lontano dal sentirsi in uno spazio che porta alla triste definizione sopra espressa e che forse, con le tecnologie e le conoscenze dell’uomo contemporaneo, potrebbe essere una progettazione ripresa e portata ad un nuovo umanesimo architettonico per la sanità del XXI secolo.

E se Renzo Piano ci dice che si dovrà costruire un mondo migliore, non vedo perché non lo si debba creare – certamente funzionale – ma anche bello ed identificare l’ospedale come un luogo più vicino ad una casa o ad un monumento invece che ad una scatola funzionale pari ad una sede dell’Agenzia delle Entrate.

 

A.Mattioli

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